83. Durante tutta questa discussione, abbiamo avuto l’opportunità di esaminare
diversi problemi collegati all’identità personale, non solo quelli relativi alla
sua origine e la sua persistenza, ma anche i problemi relativi al teletrasporto,
la replica perfetta, la scissione e l’unione. Vedremo ora altri problemi
collegati all’identità personale, e potremo constatare come l’Open Individualism
sia in grado di risolvere molti di essi, e di offrirci una visione diversa da
dove altri problemi appaiono semplificati. Questi problemi comprendono
l’Assunzione di Auto-Campionamento (Self-Sampling Assumption) collegata
allo sconcertante Argomento del Giorno del Giudizio (Doomsday Argument)
ed altri paradossi, la possibilità di utilizzare la fusione delle menti per
evitare la discontinuità della morte, la gestione dei rischi e i problemi etici
relativi alla costruzione di macchine pensanti, i problemi relativi al libero
arbitrio, ed anche il superamento della contrapposizione tra dualismo e
riduzionismo. Penso che riconoscere quanto facilmente l’Open
Individualism possa risolvere questi problemi, costituisca di per sé un
suggerimento concreto che esso rappresenti la migliore teoria sull’identità
personale, e dovrebbe convincere anche i più scettici che esso meriti
un’attenzione non superficiale. Sono convinto che una volta
riconosciuti questi vantaggi, le prossime teorie sull’identità personale non
possano essere che dei raffinamenti di questa idea di base. Questa teoria è qui
per rimanere.
84. L’Open Individualism gestisce in modo semplice i paradossi relativi all’Assunzione
di Auto-Campionamento (Self-Sampling Assumption), come ad
esempio l’Argomento del Giorno del Giudizio (the Doomsday
Argument). L’assunzione di Auto-Campionamento afferma che ogni
osservatore dovrebbe ragionare come se fosse stato selezionato a caso
dall’insieme di tutti i possibili osservatori. L’Argomento del Giorno
del Giudizio è un ragionamento probabilistico che mostra come sia possibile
predire il numero dei membri futuri della specie umana a partire
unicamente dalla stima del numero totale di esseri umani nati finora.
Il ragionamento alla base di questo argomento è che, supponendo che tutti gli
esseri umani nascano in un ordine casuale, ci sono buone probabilità che un
essere umano qualsiasi sia nato più o meno a metà di tutto l’insieme dei nati
passati e futuri. Se penso di avere un’unica occasione di nascere (cosa che
l’Open Individualism nega), posso valutare il numero totale degli esseri umani
passati e futuri solo sulla base della mia posizione nell’insieme. La
conclusione, dopo i debiti calcoli, è che esiste una probabilità del 95% che
entro i prossimi 9.120 anni si verifichi un’estinzione di massa di tutti gli
esseri umani (https://en.wikipedia.org/wiki/Doomsday_argument).
Questo però non è valido se accettiamo l’ipotesi dell’Open Individualism.
Si può vedere bene che in questo caso non posso pensare di essere stato
selezionato casualmente: sono sempre selezionato ad ogni nascita,
e quindi la mia posizione rappresenta il progresso della specie umana in questo
mondo, ma non può essere usata per stimare il numero totale delle nascite
future. Per afferrare il ragionamento alla base dell’Argomento del Giorno del
Giudizio, immaginate di avere due urne, la prima contenente dieci palline
etichettate con dieci nomi diversi, uno dei quali è il vostro, e l’altra
contenente 1000 palline, etichettate con 1000 nomi diversi, uno dei quali è il
vostro. Se selezioniamo a caso una delle urne, abbiamo una probabilità del 50%
di selezionare la prima urna. Ma se iniziamo a pescare delle palline a caso
dall’urna selezionata, e troviamo che il vostro nome viene estratto in una delle
prime dieci estrazioni, allora la probabilità di avere scelto l’urna con sole 10
palline non è più del 50%, ma è diventata del 99%. Da questo esempio si può
capire perché conoscere la nostra posizione nella sequenza delle estrazioni può
permetterci una stima probabilistica sul numero totale delle estrazioni ancora
da fare. Ma se tutte le palline contenute nelle due urne sono etichettate con il
vostro nome, ecco che diventa impossibile fare una predizione anche dopo aver
pescato una pallina con il vostro nome alla prima estrazione. Anche dopo aver
pescato dieci palline etichettate con il vostro nome, la probabilità di avere
scelto l’urna con 10 palline o quella con 1000 palline resta del 50%. Per uscire
dal dubbio, è necessario verificare se è possibile pescare l’undicesima pallina.
Questo è esattamente il caso che si presenta con l’Open Individualism, che
permette di vanificare il ragionamento alla base dell’Argomento del Giorno del
Giudizio, come tanti altri apparenti paradossi basati sull’Assunzione di
Auto-Campionamento, che è possibile trovare descritti nel libro di Nick Bostrom
Anthropic Bias: Observation Selection Effects in Science and Philosophy (2002).
Il libro è disponibile gratuitamente in formato pdf sul sito personale di Nick
Bostrom:
http://www.anthropic-principle.com/sites/anthropic-principle.com/files/pdfs/anthropicbias.pdf.
Nota: nel mio dialogo email con Arnold Zuboff, mi ha riferito di un suo contatto
con Nick Bostrom che ha criticato una parte del suo ragionamento, che a mio
parere non è fondamentale, quando si considerano gli altri argomenti qui
esposti, senza però commentare il punto più importante. Spero che anche Nick
Bostrom possa constatare come quest’idea offra una soluzione a molti dei
problemi da lui proposti.
85. Attualmente, l’evento più probabile che potrebbe spingere l’umanità
a una consapevolezza globale dell’Open Individualism, sarebbe la realizzazione
tecnica di un dispositivo capace di connettere più cervelli in modo che essi
possano cooperare per formare una mente singola. Penso che
un’esperienza del genere darebbe a tutti i partecipanti la consapevolezza di
diventare davvero un’unica mente, in uno stato mentale che potremmo chiamare “lo
stato unificato” in cui sarebbe impossibile determinare di quale
cervello sia proprietario ogni partecipante connesso alla singola “mente
unificata”. In un tale stato, la mente unificata potrebbe accedere
indistintamente ai ricordi di ogni cervello connesso. Una volta disconnessi,
ogni partecipante potrebbe avere un ricordo di ciò che è stato pensato nello
stato unificato, ma la sua mente sarebbe di nuovo limitata all’accesso del suo
cervello individuale. Immagino che alcuni dei partecipanti si
renderebbero conto che una simile esperienza sarebbe rivelatrice del fatto che
siamo veramente “la stessa persona” di ogni altro partecipante quando
siamo connessi, e quindi è possibile concludere che questo sia vero, nello
stesso senso inteso dall’Open Individualism, anche quando nessuno sperimenta uno
stato di mente unificata. Immagino che altre persone argomenterebbero
che questa sia solo un’illusione dovuta alla condivisione dei ricordi nello
stato unificato. Altri ancora potrebbero chiedersi se una tale
esperienza non abbia confuso tra loro le menti di tutti i partecipanti, di modo
che sia possibile dubitare che la loro mente sia davvero associata allo stesso
cervello a cui era associata prima della connessione. Questo sarebbe negato dai
riduzionisti, per i quali non ci può essere nulla che possa essere scambiato di
posto in un esperimento simile. Se un tale esperimento verrà mai
eseguito, è importante che i partecipanti conoscano la teoria dell’Open
Individualism, in modo che possano interpretare correttamente le loro
esperienza. Quello che realmente accadrebbe in un tale esperimento di
connessione è che il tempo soggettivo associato con ogni flusso di coscienza
convergerebbe a formare un solo tempo soggettivo, e più tardi, quando i cervelli
dei partecipanti fossero disconnessi, si genererebbero di nuovo tanti tempi
soggettivi differenti.
86. Poiché l’Open Individualism richiede che si riconsideri il nostro nativo
concetto del tempo, siamo naturalmente portati a cercare di immaginare
cosa potrà accaderci “dopo la nostra morte”. È molto difficile
accettare il fatto che questa sia una “questione vuota”. L’Open
Individualism ci richiede di adottare un punto di vista eternalista in
cui il mondo, o tutti i mondi possibili, esistono insieme senza alcun “tempo
assoluto”. Il tempo come noi lo sperimentiamo è sempre un tempo soggettivo che
rappresenta il flusso del fenomeno della soggettività lungo un percorso nello
spaziotempo statico. La morte non è che il punto terminale di uno di questi
percorsi. Non esiste un “tempo successivo”: esiste solo la fine del
tempo soggettivo creato dallo scorrere lungo il percorso. Nelle
immediate vicinanze di quel punto terminale, non esiste una continuazione
percorribile per quel particolare tempo soggettivo, che semplicemente cessa di
essere percepito dal fenomeno della soggettività.
87. Ma supponiamo che il cervello di una persona prossima alla morte sia
connesso con quello di altre persone. La mente unificata non cesserebbe di
esistere alla morte di una delle persone connesse. Il fenomeno della
soggettività continuerebbe a scorrere nel percorso comune per mezzo degli altri
cervelli connessi. Soggettivamente, nessuno sperimenterebbe alcuna morte.
Una volta che tutti fossero disconnessi, il tempo soggettivo della mente
unificata si dividerebbe soltanto in (n – 1) tempi soggettivi separati. Questo
corrisponderebbe all’esperienza di avere un incidente in cui una parte del
nostro cervello cessasse di funzionare. Sarebbe certamente un’esperienza
spiacevole e potrebbe portare a una perdita di capacità e di ricordi, ma non
sarebbe una cosa tragica come la morte. Una cosa simile accadrebbe se potessimo
connettere il nostro cervello con quello di altre persone, formando una mente
unificata, al momento della morte del nostro corpo individuale. Anche questa
sarebbe un’esperienza spiacevole e potrebbe comportare una perdita di capacità e
di memorie, ma non sarebbe una vera morte. In realtà, rappresenterebbe
per noi l’unico modo efficace di evitare la morte.
88. Questa soluzione sarebbe più pratica ed efficace se noi potessimo
costruire dei cervelli artificiali, ossia delle vere macchine pensanti.
Sembrerebbe impossibile creare davvero delle macchine con una vera coscienza, ma
in ultima analisi anche il nostro corpo può essere considerato una macchina
molto sofisticata, per cui penso che un giorno anche questo sarà possibile.
Un vero cervello artificiale dovrà essere in grado di generare il
fenomeno della soggettività, con la creazione di un tempo soggettivo.
Io non penso che questo possa essere realizzato usando solo una simulazione
software, credo che richiederà un hardware speciale, e che il supporto per una
vera mente dovrà necessariamente essere rappresentato da qualche dispositivo
fisico che sfrutti qualche proprietà particolare del mondo fisico, forse la
correlazione quantistica. Questo implica l’impossibilità di vivere in un mondo
simulato, o per lo meno, simulato solo a livello software, come alcuni autori
hanno suggerito. Ad ogni modo, per tutte le ragioni esposte, il fenomeno
della soggettività sarà sempre lo stesso, in qualsiasi condizione venga generato,
e così deve essere ad ogni livello di realtà, così come deve essere
sempre lo stesso anche attraverso tutti i possibili universi che
possano ospitare la vita. Una volta che una macchina cosciente fosse costruita,
sarebbe possibile connettere il nostro cervello biologico con quella,
in modo da formare una mente unificata. Sarà possibile anche creare una grande
macchina pensante allo scopo di usarla per connettere tra loro i nostri
cervelli, mantenendo però una centrale sempre attiva anche se non ci fossero
altri individui connessi. Questa potrebbe rappresentare l’evoluzione definitiva
di ciò che oggi è per noi a Internet. In questo scenario, quando un
individuo fosse prossimo a morire, per evitare la discontinuità della
coscienza alla fine del suo percorso individuale, dovrebbe solo
connettersi ad un cervello artificiale per attendere la morte del suo corpo
originale. Potrebbe addirittura accadere che la morte possa essere
provocata direttamente dalla macchina, una volta che la mente individuale si
fosse connessa a formare la mente unificata. Per quanto possa sembrare
impietoso, questo potrebbe servire a prevenire sia l’agonia che l’eventualità
che la morte possa avvenire successivamente, in uno stato di mente disconnessa.
Come nota finale a questo argomento, aggiungo che molto probabilmente la stessa
tecnologia che ci porterà a produrre macchine pensanti potrebbe permetterci,
probabilmente già in uno stadio intermedio, di produrre espansioni artificiali
per il nostro cervello biologico, capaci di migliorare le nostre capacità
mentali. Questo ci renderà intelligenti esattamente quanto una macchina
cosciente potrà mai essere, anche senza considerare la possibilità di
connessione con altri cervelli. Per questo motivo, e a maggior ragione se si
considera anche la possibilità della connessione, non penso che le macchine
intelligenti possano mai diventare malevole con gli esseri umani, come oggi
molti autori dichiarano di temere. Tutte le entità coscienti devono
essere considerate come il supporto hardware del fenomeno della soggettività,
ed una volta che questa consapevolezza sarà diffusa, sarà cura di ognuno far sì
che tutti i partecipanti possano vivere al meglio questa nostra comune
condizione. In realtà, penso che i peggiori pericoli per l’umanità, lasciando da
parte condizioni esterne come qualche catastrofico evento cosmico, siano
rappresentati dalla nostra incapacità di evitare i disastri sociali provenienti
da fenomeni già in atto come il circolo vizioso della speculazione nei mercati
finanziari e le guerre per il controllo delle risorse economiche, che per
tutelare i vantaggi di una minoranza, comportano sprechi di risorse e generano
lutti che colpiscono interi popoli, fomentando l’odio sociale. Questi pericoli
sono implicitamente collegati all’assunzione, purtroppo quasi universalmente
adottata, che ognuno abbia una sua propria, separata, identità personale. Daniel
Kolak l’ha chiamata teoria della “Individualità Chiusa” (“Closed
Individualism”), e purtroppo adottando questa concezione può accadere che
ciò che rappresenta una perdita per la collettività sia apparentemente
vantaggioso per un singolo individuo, o per una ristretta cerchia di
privilegiati.
89. Riguardo al libero arbitrio, il racconto di Jorge Luis
Borges “La biblioteca di Babele” mi ha suggerito un modo per dimostrare
la corrispondenza concettuale tra un modello di mondo in cui ogni singolo evento
non è definito in modo deterministico a livello quantistico, lasciando
così spazio a un fattore casuale che potrebbe rappresentare una possibilità per
esercitare un genuino libero arbitrio, e modello di mondo in cui ogni singolo
evento è definito in modo deterministico anche a livello quantistico, grazie a
delle variabili nascoste o all’onda pilota proposta dall’interpretazione di
Bohm. Il concetto chiave è che il secondo modello non elimina del tutto
un fattore casuale, ma lo sposta all’inizio dell’universo, applicando in pratica
una sola scelta unificata che determina precisamente tutte le condizioni
iniziali da cui scaturisce il Big Bang. L’equivalenza è resa evidente
ragionando sui modi alternativi di scegliere un libro dalla biblioteca di
Babele. Nel racconto di Borges, si immagina che in questa biblioteca siano
conservati tutti i possibili libri che possano mai essere scritti. Il racconto
originale prevede che ogni libro abbia un certo numero di pagine e un certo
numero di caratteri per pagina, scelti da un alfabeto fisso. Date queste
condizioni iniziali, è possibile calcolare tutte le possibili combinazioni di
caratteri che possono riempire un intero libro. Il numero di volumi risultanti
sarebbe astronomico, ma da qualche parte, in questa libreria, si potrebbe
trovare qualsiasi libro che possa mai essere scritto. Ragionando su come è stata
concepita, si può capire che scegliere un libro a caso in tutta la libreria di
Babele è perfettamente equivalente allo scegliere a caso ogni singolo carattere
fino a ottenere una sequenza abbastanza lunga da riempire un libro. La
conclusione è che scegliere tutte insieme in una volta sola un gran numero di
condizioni non è diverso, come risultato concreto, dallo scegliere le condizioni
una per una, ognuna al momento in cui la scelta sia effettivamente necessaria.
90. Il problema di capire se almeno alcune di queste scelte siano fatte,
anziché dal puro caso, dalla libera decisione di qualche soggetto consapevole è
semplificato una volta che l’identità del soggetto sia eliminata, come
l’Open Individualism ci consente di fare. In questo modo, una volta che il
soggetto che può compiere le scelte sia ridotto al fenomeno della soggettività,
sia che si pensi che tutte le scelte possibili siano determinate dalle
condizioni iniziali dell’universo sia che si pensi che siano distribuite in una
moltitudine di eventi successivi in un mondo non deterministico, è possibile
considerare queste scelte, unificate o distribuite, in due modi diversi: Se
pensiamo che il libero arbitrio esista, allora pensiamo che almeno
alcuni eventi di scelta siano originati da una genuina decisione soggettiva, ed
in questo caso il fatto che il soggetto sia stato ridotto ad uno, ci permette di
attribuire ad esso tutte le decisioni di tutti gli esseri viventi. In
questo caso tuttavia, se pensiamo ad un mondo deterministico con un solo evento
iniziale di scelta molteplice, possiamo essere scettici sull’influenza del
fenomeno della soggettività nella decisione di tutti i parametri iniziali del
Big Bang. Il libero arbitrio si tradurrebbe nella possibilità che alcune
combinazioni di condizioni iniziali risultino più probabili di altre che però,
dal punto di vista meramente fisico, dovrebbero risultare ugualmente probabili.
Se immaginiamo il lettore della Biblioteca di Babele che ha la possibilità di
scegliere quali libri leggere, si capisce che anche se non può decidere quali
libri esistano, può sempre decidere di leggere con maggiore frequenza i libri
che preferisce, esprimendo così il proprio libero arbitrio. Questo presuppone un
suo giudizio ancora prima di iniziare a leggere un libro. Se invece si
immaginano il caso di più scelte distribuite, è più facile immaginare che il
lettore, durante la sua lettura, abbia la facoltà di sostituire il libro che sta
leggendo con un altro identico fino a quel punto, ma che continua in un modo per
lui preferibile. Questo è più accettabile in quanto il lettore fa la sua scelta
quando sta già svolgendo un ruolo attivo come lettore, mentre nel primo caso la
scelta dovrebbe avvenire prima ancora di iniziare a leggere. In ogni caso, il
dilemma se queste scelte, unificate o distribuite, debbano essere tutte
attribuite a un caso insondabile o che almeno alcune siano attribuibili a una
volontà effettiva è meno stringente, una volta che il possibile soggetto sia
ridotto ad uno solo. Infatti, se assumiamo che il mondo non sia determinista,
significa che non possiamo predire se un cervello in un determinato stato A nel
prossimo istante assumerà lo stato B oppure lo stato C, quando entrambi gli
stati B e C sono risultati accettabili. Se ipotizziamo che esistono molti
soggetti diversi e che il risultato non è deterministico, allora la differenza
nelle scelte potrebbe dipendere dell’identità del soggetto. Ognuno potrebbe
avere differenti probabilità di scegliere lo stato B o lo stato C, se non ci
sono condizioni fisiche che obbligano una scelta. Queste differenze di scelta
sarebbero una conseguenza delle differenti identità dei soggetti. Ma se
riduciamo ad uno solo il soggetto possibile, ciascun risultato B o C avrà sempre
le stesse probabilità di essere generato a partire dallo stato A. Se ripetessimo
lo stesso esperimento molte volte, ad esempio producendo artificialmente un
cervello nello stato A, non sarà mai possibile prevedere con sicurezza il
risultato di ogni test, ma sarà possibile prevedere che, ad esempio, la
frequenza di B risulterà mediamente il doppio della frequenza di C.
Questo rende impossibile determinare se delle ipotetiche regole probabilistiche
associate al mutamento degli stati cerebrali possano essere attribuite a
qualcosa che influenza la natura del singolo soggetto in esame, o a
qualcosa che esprime la natura del soggetto in esame. Sarebbe
in pratica impossibile stabilire se il soggetto esercita un effettivo libero
arbitrio o se si comporta conformemente a delle regole prefissate che riguardano
il fenomeno della soggettività ma che comunque non possono essere dedotte dalle
leggi fisiche. Anche questa diventerebbe una “questione vuota”.
91. Ogni storia possibile ha una sua probabilità di diventare reale.
Tornando alla libreria di Babele, possiamo immaginare che una volta che
siano state eliminate tutti i libri che non hanno senso o che descrivano storie
impossibili per qualche ragione fisica, potremmo raggruppare i rimanenti
in differenti raccolte di libri. Immaginiamo che ogni libro che
racconta una storia dal punto di vista in prima persona sia associato ad altri
libri che raccontano una storia uguale ma vissuta da un altro punto di vista. È
chiaro che questo raggruppamento non è precisamente definito, due storie
compatibili con una terza storia potrebbero non essere compatibili tra loro, a
causa dei dettagli differenti che ogni volta si aggiungono. Ma trascurando
queste complicazioni, potremmo immaginare di ottenere una raccolta di libri che
rappresenti tutte le vite raccontate in prima persona di tutti gli esseri
viventi in uno dei possibili universi. Una di queste raccolte rappresenterà la
storia del nostro universo come sperimentata da tutte le creature che vi hanno
mai vissuto nel passato o ci vivranno in futuro. Ma potrebbero
ugualmente esistere molte variazioni di questa raccolta, magari un
altro insieme di libri che racconta storie uguali alle nostre fino ad ora, ma
che inizierà a raccontare storie sempre maggiormente diverse dalle nostre da ora
in poi, basandosi magari su una piccola differenza di comportamento che potreste
fare adesso nella vostra vita privata. Se abbiamo un genuino libero
arbitrio, ogni nostra piccola scelta influenzerà l’insieme di storie che possono
essere possibili da ora in poi. Anche se non riusciremo mai ad
escludere del tutto tutti i possibili futuri spiacevoli, potremmo almeno
escludere una loro piccola frazione. Questo significa che la cosa più
ragionevole da fare sia cercare di comportarci al meglio per tutti noi e per
ogni altra futura persona, essendo consapevoli che si tratta sempre di diverse
versioni di noi stessi. Si potrebbe pensare che anche avendo il libero
arbitrio non si possa cambiare il fatto che, tra tutte le possibili vite di
tutti i possibili mondi, saranno sempre presenti dei cattivi sentieri che per
forza, presto o tardi, dovranno essere percorsi. Cosa significa in
questo caso avere il libero arbitrio? La mia risposta è che esso possa
influenzare la frequenza delle storie che determiniamo con le nostre scelte.
Questo implica che ogni storia possa essere vissuta più di una volta, e
che il totale di storie possibili siano un numero finito. Ma questa è
un’idea che molti potrebbero rifiutare di accettare.
92. La versione in DVD della libreria di Babele rappresenta l’insieme di tutti i
possibili film che possono mai essere registrati in un DVD. Anche qui potremmo
pensare che il loro numero sia infinito, ma se si considera che ciascun film
registrato su un DVD può avere una dimensione di 4 o al massimo 8 gigabyte,
dobbiamo riconoscere che anche tutte le possibili combinazioni di questi
byte sono finite, sebbene il loro numero sia così grande che non
potrebbe essere scritto per esteso in forma decimale in una vita intera. Se
vogliamo immaginare un numero totale di film ancora maggiore, dobbiamo
incrementare la risoluzione del formato audio e video utilizzata per
memorizzarli, o considerare film di durata maggiore. Riguardo alla risoluzione,
abbiamo però un limite hardware dato dalla possibile acutezza dei nostri sensi
naturali, e quindi una risoluzione troppo alta diventerebbe inutile.
Riguardo alla lunghezza, possiamo considerare che ogni DVD di lunghezza
doppia potrebbe essere ottenuto scegliendo accuratamente due DVD dalla
collezione già esistente che rappresenterebbero “la prima parte” e “la seconda
parte”. Così dobbiamo concludere che in realtà non abbiamo bisogno di un insieme
infinito di vite diverse, perché alcune inizierebbero a somigliarsi al punto da
non poterle distinguere tra loro. Questo ci permette di escludere l’infinito dal
nostro ragionamento, e di concludere che abbia senso pensare che, se il
libero arbitrio esiste, allora il mio comportamento in una data situazione
influenzerà la probabilità dei suoi possibili esiti nel momento in cui mi
trovassi a rivivere la stessa situazione da un diverso punto di vista.
Personalmente, sono incline a pensare che il libero arbitrio esista, perché
motiverebbe la presenza della coscienza come vantaggio evolutivo. Inoltre, il
semplice fatto di credere che esso esista oppure no, è capace di influenzare il
nostro comportamento, cosa che mi sembra paradossale. Mi sembra ugualmente
paradossale il fatto che se il mondo fosse determinista, dovrebbe in ogni caso
essere impredicibile, perché altrimenti la nostra consapevolezza potrebbe
influenzare il comportamento che dovremmo avere in base alla predizione. Per
questo credo che il libero arbitrio sia intimamente legato alla coscienza, che
come abbiamo già discusso, è un fenomeno non predicibile dal punto di vista
strettamente fisico. Tuttavia, altrettanto paradossalmente, quando ci troviamo a
fare una scelta importante, cerchiamo di basarci valutando i pro e i contro, e
ci sentiamo anzi a disagio se non troviamo qualche motivo ragionevole per
orientare la nostra scelta. Forse la nostra libertà di scelta è legata alla
nostra capacità di ragionamento razionale, invece che istintivo, e magari, alla
nostra possibilità di decidere quando smettere di ponderare una questione e di
passare all’azione concreta.
93. Infine, l’Open Individualism può aiutarci a eliminare il dibattito
tra filosofi riduzionisti e dualisti. Questo è possibile perché dopo
aver ridotto l’identità di tutte le menti a una sola, non esiste più
alcun bisogno di trovare qualcosa di non materiale che ci permetta di
distinguerle tra loro. Per capirne chiaramente il motivo, immaginiamo
che ognuno abbia un’anima, e per evidenziare la loro diversa identità,
immaginiamo che ogni anima abbia un colore diverso per ogni persona,
dove il colore sta a rappresentare tutte le caratteristiche non materiali che
potrebbero differenziarle. Immaginiamo ora di ridurre ad uno il numero
totale di tutte le anime: questo può essere visualizzato immaginando
che ognuno di noi abbia l’anima dello stesso colore, un colore
uguale per tutti. Ma a questo punto, è completamente ininfluente immaginare che
si tratti di un certo colore o di un altro, e possiamo anche immaginare che il
colore sia completamente trasparente. Sparisce completamente la
necessità di usare qualsiasi colore. Fuori da questa metafora, una
volta che si ammette che la mente non abbia alcuna identità, non c’è più
alcuna ragione per immaginare un’entità che integra il mondo fisico per spiegare
la complessità della mente e del suo comportamento. Tutte queste
complessità, una volta che si riferiscono sempre ad un unico fenomeno, il
fenomeno della soggettività, non hanno più ragione di essere interpretate in
modo dualistico: possono essere interpretate come regole generali che
possiamo considerare inerenti al mondo e al fenomeno della sua percezione dal
punto di vista in prima persona. Il fatto che ognuno di noi abbia
esperienza del colore rosso nello stesso modo non necessita di essere spiegato
appellandosi a qualcosa che riguarda in modo particolare la mia mente e ogni
altra mente: può essere interpretato come una regola che riguarda il
fenomeno della soggettività, o più direttamente la funzione di soggettività, che
è capace di interpretare gli stati cerebrali come stati mentali, generando il
tempo soggettivo. Questa generalizzazione del concetto di mente,
eliminando il bisogno del concetto di identità, ci permette di
trasformare ogni problema soggettivo in un problema oggettivo. Questa è
la vera forza dell’Open Individualism, che ne fa il complemento ideale di ogni
possibile teoria riduzionista, ed anzi, oserei dire, l’unico possibile
completamento definitivo.