Lo scopo di questo documento è di riassumere i problemi relativi all’identità
personale, esaminando le attuali teorie e i loro difetti, e confrontando le loro
risposte con quelle di una teoria i cui sostenitori sono attualmente una
minoranza, sebbene sia l’unica che possa gestire in modo coerente tutti questi
problemi. La teoria è stata chiamata “Open Individualism”, ovvero “Teoria della
Individualità Aperta”, da Daniel Kolak nel suo libro I Am You (“Io sono
te”) edito nel 2004 da Springer, Synthese Library, ma già nel 1990 Arnold Zuboff
aveva proposto una teoria equivalente nell’articolo “One Self: The Logic of
Experience”, pubblicato dalla rivista Inquiry, dandole il nome di
“Universalism”. La teoria può essere considerata come una versione moderna del
monopsichismo, che può essere fatto risalire, attraverso Sigieri di Brabante e
Averroè, fino ad Aristotele. La nuova versione non ha bisogno di appellarsi né a
Dio né all’esistenza dell’anima, come faceva la vecchia teoria, e per questo può
essere appropriato chiamarla “Monopsichismo Riduzionista”, per usare dei termini
già esistenti in letteratura, o anche “Neomonopsichismo”, per sottolineare
l’importanza delle sue differenze con il Monopsichismo tradizionale.
Nonostante l’apparente conflitto con il nostro comune buon senso, la nuova
teoria non richiede di accettare niente di più bizzarro di quanto non sia già
richiesto anche dalle teorie concorrenti per gestire l’identità personale in
alcuni casi eccezionali, come quando si considera il teletrasporto o la
clonazione perfetta di una persona, o la divisione chirurgica di un cervello in
due parti funzionanti, come vedremo più avanti. Malgrado questo, la teoria non è
molto popolare anche perché, prima di considerarla plausibile, è necessario
essere disposti a superare alcuni dei nostri pregiudizi istintivi e a
considerare insieme tanti fattori diversi, molti dei quali attualmente in
discussione nella comunità scientifico-filosofica. Qui io tenterò di presentarli
in modo diretto e conciso, cercando di realizzare una vera e propria mappa
concettuale verso l’Open Individualism che il lettore possa seguire per giungere
più rapidamente possibile alla comprensione delle ragioni profonde che ci
spingono alla sua adozione. Insieme alle molte argomentazioni che sono già state
discusse da diversi filosofi, proporrò le mie opinioni e osservazioni personali,
spesso mirate ad integrare i vari temi in un unico disegno complessivo. Il mio
maggiore contributo originale è sulla discussione sul Problema Esistenziale
Individuale, che altri autori indicano in modo vago ma che spero di aver
presentato in modo formalmente più preciso. Non mi propongo di essere esaustivo
o completamente convincente, ma solo di dare suggerimenti su alcune questioni
che penso sia utile considerare nel dibattito principale.
Poiché in questa discussione la terminologia è fondamentale, è bene che
chiarisca come userò alcuni termini chiave. Individuo è un termine
generico per indicare un singolo essere umano ma l’uso non è limitato
agli esseri umani, può essere riferito a ad ogni altra entità materiale che
possa essere considerata come dotata di una mente.
Ogni individuo ha il proprio punto di vista in prima persona verso il mondo.
Questo punto di vista è soggettivo, ed è per questo che uso anche il termine
soggetto come sinonimo di individuo, anche se per essere preciso dovrei
specificare soggetto fisico, perché il termine soggetto può essere
usato nel senso di soggetto dotato di una mente, come vedremo tra un
momento.
Il termine personalità indica l’insieme dei tratti psicologici e altre
caratteristiche che distinguono ogni individuo da ogni altro. Queste
caratteristiche fanno sì che ogni diverso individuo rappresenti, in senso
teatrale, un diverso personaggio o un diverso ruolo.
Gli individui si differenziano per molti aspetti, ma hanno tutti in comune la
capacità di pensare; questa non è una parte della personalità. Il termine
persona è usato per indicare il proprietario dei pensieri di un
individuo, il soggetto che pensa, il soggetto dotato di mente,
dove il termine soggetto non deve essere inteso come soggetto
fisico, ma come soggetto pensante. Può essere chiamato anche
il soggetto cosciente, perché l’esperienza di avere una mente consegue
dall’essere coscienti. Kolak lo chiama il soggetto-in-sé (subject-in-itself),
il soggetto dell’intuizione “io sono io”, e lo identifica con l’autocoscienza.
A volte è chiamato anche il sé, o il sé interiore, per
indicare un livello di introspezione più profondo dell’ego, che
rappresenta invece il livello influenzato dalla personalità.
Generalmente, si ritiene che ogni persona abbia una identità ben definita, che è
chiamata identità personale. L’Open Individualism sostiene che, malgrado il
fatto che esista un numero enorme di individui con differenti personalità, la
loro identità personale non cambia, e dunque in realtà tutti noi siamo
proprio la stessa persona. Questo è il motivo per cui Kolak ha intitolato
il suo libro I Am You. In italiano, spesso usiamo il termine
persona come sinonimo di individuo, ma in tal caso, per non creare
equivoci, specificherò persona fisica. Solo occasionalmente, quando il
discorso non presenta ambiguità, userò il termine persona nel senso
colloquiale equivalente ad individuo, senza specificare per esteso
persona fisica.
Per essere chiari, l’Open Individualism considera la nostra esperienza di essere
coscienti e consapevoli come un fenomeno che non acquisisce una differente
identità ogni volta che si verifica, malgrado il fatto che nel mondo si
manifesti simultaneamente in molti individui separati. Io, voi, ed ogni altro
essere umano vivente in questo momento, siamo certamente diversi esseri viventi,
ma le nostre identità personali non sono diverse, come non sono diverse la mia
identità personale di oggi paragonata con la mia identità personale di ieri.
Esistono molte differenze tra gli individui, così come esistono alcune piccole
differenze fisiche tra il mio corpo attuale e quello di ieri, ma in entrambi i
casi si tratta solo di differenze formali, non sostanziali, e quando iniziamo ad esaminarle criticamente, siamo costretti a concludere che nessuna di esse
può avere qualche influenza sulla nostra identità personale. Ogni essere vivente
deve essere considerato come una diversa versione di noi stessi, come se fosse
la nostra immagine in un labirinto di specchi, o come se fosse possibile, per
qualche paradosso temporale, incontrare noi stessi in un’altra epoca della
nostra stessa vita. Dobbiamo considerare tutti gli esseri coscienti come diverse
incarnazioni del nostro stesso “sé interiore”.
La migliore metafora per questa visione della vita, è quella di considerare il
mondo come un film in cui tutti i personaggi sono interpretati sempre dallo
stesso attore, ogni volta così profondamente concentrato nella sua
interpretazione da dimenticare qualsiasi altra cosa riguardo all’interpretazione
degli altri personaggi. Si può immaginare abbastanza bene come questo sia
tecnicamente possibile da realizzare in un film, attraverso un abile montaggio,
ed infatti esistono diversi film in cui lo stesso attore interpreta più di un
personaggio, ed a volte essi interagiscono tra loro; tuttavia è molto più
difficile concepire come questo possa accadere realmente con tutte le nostre
vite. Esistono molte ragioni per considerarla una difficoltà insuperabile, ma la
ragione principale è la constatazione che le nostre vite si svolgono in
intervalli di tempo almeno parzialmente sovrapposti. Per questo discuteremo
anche un concetto di tempo alternativo a quello convenzionale che consenta di
superare questa difficoltà. Usando la metafora dell’unico attore che interpreta
tutti i ruoli, il termine individuo, soggetto o persona
fisica, e il termine psicoanalitico ego si riferiscono a un
singolo personaggio; il termine personalità si riferisce ai tratti
psicologici caratteristici di ogni singolo personaggio; il termine persona,
soggetto mentale, soggetto-in-sé e sé interiore si
riferiscono all’attore che interpreta tutti i ruoli.
Voglio immediatamente chiarire che questo punto di vista differisce
sostanzialmente dalla visione di molte vecchie o nuove religioni che predicano
il raggiungimento di una unità spirituale con l’anima di Dio o qualche altro
tipo di “anima globale”. Infatti tutte queste visioni richiedono di considerarci
come piccoli pezzetti separati di una “grande anima”, desiderosi di farvi
ritorno, ma che posseggono nel frattempo una loro specifica identità separata.
L’Open Individualism non afferma che noi dissolveremo le nostre identità
personali in una “grande anima”, principalmente perché nega l’esistenza di
qualsiasi “identità separata”, sia pure temporaneamente. Il concetto stesso di
“identità” risulta illusorio, adatto solo per essere usato in modo convenzionale
nel nostro linguaggio pratico, ma non indica nessuna “essenza” che abbia una
realtà oggettiva. Sentirsi uniti all’“anima di Dio”, avere la conoscenza di
tutto e provare sensazioni divine, può essere una prospettiva molto allettante,
qualcosa da desiderare profondamente, ma non è detto che si tratti di qualcosa
di realizzabile. Aldous Huxley, nel suo libro La Filosofia Perenne,
cerca di dimostrare come il raggiungimento di questo stato di grazia sia un
obbiettivo comune sia alle religioni orientali che a quelle occidentali,
riferendosi alle esperienze dei mistici cristiani e musulmani, e suggerisce che
questo desiderio di unione con Dio o con il Cosmo rappresenti l’unica vera
religione, di cui le altre sarebbero variazioni che ci allontano dalla Verità.
Questo stato di unione cosmica non è una promessa dell’Open Individualism. Può
darsi che un giorno, forse neanche troppo lontano, sia possibile usare qualche
dispositivo tecnologico per collegare insieme molti cervelli in modo che essi
agiscano come un singolo cervello più grande, implicando la fusione delle
corrispondenti menti in un’unica mente con un grado maggiore di consapevolezza e
conoscenza. Questa esperienza sarà molto rivelatrice per le diverse persone
fisiche che le sperimenteranno, e risulterà molto utile per promuovere e
diffondere la conoscenza dell’Open Individualism, ma questo non significa che
dopo la morte ognuno di noi sperimenterà uno stato di piena consapevolezza e di
armonia con tutto l’universo.
Tornando alla metafora dell’attore, essa non implica che oltre a interpretare
tutti i personaggi della recita, l’attore possa sperimentare anche il ruolo del
regista, che vede dall’esterno tutta la recita, può giudicarla e dare
suggerimenti. La differenza sostanziale è che ogni personaggio si trova
fisicamente sulla scena, mentre il regista dovremmo immaginarlo assistere
all’intera rappresentazione in uno spazio esterno alla scena, una cosa
incompatibile con il riduzionismo. L’Open Individualism non è una dottrina
spirituale, è una teoria filosofica sull’identità personale, e deve essere
discusso e considerato in modo razionale. Sono convinto che esso rappresenti la
necessaria conclusione che qualsiasi teoria riduzionista dovrebbe riconoscere.
In questo documento vorrei esaminare passo per passo i problemi che tutte le
teorie sull’identità personale devono affrontare, evidenziando che esiste una
combinazione di risposte ragionevoli che, nel loro insieme, formano la struttura
di base dell’Open Individualism, capace di risolvere tutti questi problemi.
Daniel Kolak, in I Am You, chiama Teoria della “Individualità Chiusa”
(“Closed Individualism”) l’opinione quasi universalmente accettata, in cui
ognuno di noi ha una propria identità personale, immutabile per tutta la vita,
con dei confini chiusi e invalicabili che tengono separate le identità delle
diverse persone. Esiste un altro punto di vista, promosso da Derek Parfit e da
altri filosofi, a cui Kolak ha dato il nome di Teoria della “Individualità
Vuota” (“Empty Individualism”), che sarà discussa più avanti. Insieme alla
Teoria della “Individualità Aperta” o “Open Individualism” promossa da Kolak,
questi tre diversi punti di vista sull’identità personale permettono di
classificare ogni tipo di teoria. L’esistenza di una soluzione coerente e
completa basata sull’Open Individualism rappresenta una sfida per ogni teoria
alternativa: essa dovrà essere capace di fornire un quadro di riferimento
simile, o almeno trovare qualche errore fondamentale nel quadro di riferimento
dell’Open Individualism; altrimenti, dovremo riconoscere che esso rappresenta
una teoria migliore delle altre. Le conseguenze per ognuno di noi e per l’intera
società sono sorprendenti, irreversibili, e di importanza straordinaria.