38. Daniel Kolak in I Am You definisce la Teoria della
Individualità Aperta (Open Individualism) come quella che sostiene che
l’identità personale sia sempre la stessa per ogni essere cosciente. Le
conclusioni sono le stesse quando noi riteniamo che l’identità personale
sia illusoria e che il fenomeno della soggettività sia un fenomeno non
numerabile, anche se questo stesso fenomeno si manifesta
contemporaneamente in una moltitudine di individui distinti. Dalle critiche al
concetto di identità, si deduce che ogni occorrenza del fenomeno non può
essere considerata in possesso di una differente identità, perché
questa identità non può essere ben definita. Si consideri che anche
differenti istanti di tempo nel corso della vita di un individuo possono
ugualmente essere considerate come diverse occorrenze del fenomeno della
soggettività. Questo ci può aiutare a capire che non è necessario
introdurre una differenza di identità tra le diverse occorrenze di questo
fenomeno.
39. Il maggiore ostacolo nell’accettare l’Open Individualism è che esso
richiede una nuova concezione del tempo. Nell’ultimo secolo, la fisica
ha già rivisto e modificato il concetto del tempo, e quindi anche in filosofia
è necessario abbandonare il concetto di tempo assoluto, fornendo una ragionevole
proposta alternativa che possa spiegare meglio i fenomeni che discutiamo.
40. L’Opern Individualism richiede un concetto di un tempo soggettivo
collegato a ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività, e uno
spaziotempo esterno che deve essere concepito come il contenitore di
tutte le storie che sono accadute o che accadranno in questo mondo.
41. Nota: Anche se questo argomento è lontano dalle mie competenze, voglio
segnalare che un collegamento tra il tempo soggettivo e l’attività cerebrale
potrebbe già avere qualche riscontro scientifico. Riguardo al cervello, diversi
autori indagano sul possibile ruolo della fisica quantistica nella relazione tra
mente e cervello. Ad esempio, il filosofo David Pearce suggerisce che potrebbe
essere basata sul fenomeno della correlazione quantistica (entanglement) (è
possibile leggere la sua tesi sul fisicalismo non materialista al suo sito web
http://www.physicalism.com/). Anche Roger Penrose, in collaborazione con Stuart
Hameroff, ha avanzato una proposta simile. Riguardo al tempo, alcuni esperimenti
hanno mostrato come il tempo possa essere il risultato dell’entrare in
correlazione quantistica con un sistema fisico già esistente (vedere
l’articolo al sito
https://medium.com/thephysics-arxiv-blog/quantum-experiment-shows-how-time-emerges-from-entanglement-d5d3dc850933, dove è fornito anche un link al documento originale).
42. Un buon modello per comprendere l’idea dello spazio-tempo esterno, è la
concezione eternalista proposta da Julian Barbour nel suo libro La fine del
tempo (The End of Time), pubblicato dalla Oxford University Press nel 1999 e
nella traduzione italiana da Einaudi nel 2003. In breve, il suo modello
considera l’intero insieme di tutte le possibili configurazioni del mondo come
esistenti in modo statico. Il tempo esterno non sarebbe qualcosa che scorre, ma
dovrebbe e ssere considerato come la proprietà che permette di ordinare
cronologicamente due stati del mondo, quando si confrontano l’uno con l’altro.
43. La mente, o il fenomeno della soggettività, può apparire in alcune regioni
speciali del mondo (in modo specifico, quelle che per noi rappresentano le
configurazioni di istanti successivi del cervello) dove è possibile costruire
una sequenza di stati cerebrali che la funzione di soggettività è in grado di
trasformare in una sequenza di stati mentali, dando origine sia alla mente
corrispondente (o alla corrispondente occorrenza del fenomeno della
soggettività), sia al tempo soggettivo che quella mente percepisce in
scorrimento. Il fatto che ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività
incorpori un proprio tempo soggettivo, libera il nostro modello concettuale
dalla necessità di assegnare differenti identità ad ognuna di queste occorrenze.
La semplice osservazione che due individui coesistono nello stesso intervallo
temporale non è più un motivo sufficiente per presumere che le loro menti
debbano avere due diverse identità numeriche.
44. Possiamo immaginare due successioni di stati cerebrali in due regioni vicine
dello spazio-tempo. Le due successioni sono entrambe trasformate dalla funzione
soggettività in due successioni di stati mentali, ciascuna delle quali dà
origine al corrispondente tempo soggettivo del fenomeno della soggettività. Dal
punto di vista eternalista, non ha alcuna importanza se questi due eventi sono
sperimentati come simultanei da qualche osservatore o no. Non ha senso dire che
uno dei due tempi soggettivi è stato creato prima o dopo l’altro, né che essi
scorrono contemporaneamente oppure no. Non è possibile dare un ordine temporale
ai due tempi soggettivi all’interno di un tempo di livello superiore che scorre
al di sopra del quadro di riferimento eternalista. Il tempo esterno, nell’ambito
concettuale eternalista, può essere utile per ordinare le date di nascita di due
individui, ma è inutile se cerchiamo di sapere se la funzione della soggettività
è stata applicata a una certa sequenza di stati cerebrali “prima” o “dopo”
un’altra sequenza di stati cerebrali. Ognuna di queste applicazioni genera un
proprio tempo soggettivo indipendente dagli altri, e non è possibile ordinare
tra loro questi tempi soggettivi per formarne uno solo di lunghezza maggiore.
Non esiste niente di fisico che possa permetterci di collegare la fine dello
scorrere di un tempo soggettivo con l’inizio dello scorrere di un altro: sono
solo punti di discontinuità dove la funzione di soggettività inizia o termina,
ma pensare che dopo essere stata applicata a una successione di stati cerebrali
completa, essa si sposta per iniziare ad applicarsi ad un’altra successione di
stati cerebrali, presume un tempo di livello superiore che non è né il tempo
soggettivo generato durante la sua azione, né il tempo esterno che non scorre ma
permette di ordinare due stati successivi tra loro. Questo tempo “di livello
superiore”, che equivale al concetto di tempo assoluto, non è previsto e non è
ammesso: e anche se questa mancanza può apparire come un limite, è proprio ciò
di cui abbiamo bisogno per considerare l’Open Individualism come un’alternativa
percorribile. La mancanza di un tempo assoluto libera infatti il modello dalla
necessità di assegnare un’identità separata a ciascuna occorrenza del fenomeno
della soggettività, e quindi dalla necessità di trovare qualcosa che permetta di
distinguere ciascuna delle sue occorrenze che interagiscono in regioni vicine
dello spazio tempo, in altre parole di distinguere tra loro le nostre identità
personali. Poiché non abbiamo alcun bisogno di assegnare un’identità specifica
al fenomeno della soggettività, il concetto di identità può essere abbandonato
in quanto illusorio anche quando si applica alle persone.
45. Quando un cervello funzionante si suddivide in due (o più, se fosse
possibile) cervelli funzionanti, il tempo soggettivo associato al fenomeno della
soggettività si suddivide in rami diversi, consentendo allo stesso fenomeno
della soggettività di seguire indifferentemente tutti i percorsi. Lo stesso
accade quando due (o più) cervelli funzionanti si fondono in un solo cervello
funzionante più grande. In questo caso, tutti i corrispondenti tempi soggettivi
convergono in uno stesso tempo soggettivo che esiste per quanto dura la
fusione, poi l’unico tempo soggettivo si suddivide di nuovo in percorsi
multipli. Non abbiamo bisogno di chiederci “chi” stia seguendo uno o l’altro
percorso: il soggetto che segue tutti i percorsi è sempre lo stesso fenomeno
della soggettività. Non è necessario interrogarsi se questo fenomeno avvenga in
un percorso “prima” o “dopo” rispetto ad un altro; all’interno del quadro
eternalista, tutti i percorsi coesistono allo stesso modo.
46. Si può pensare che l’Eternalismo sia una teoria che richiede il
determinismo, perché presenta l’universo come qualcosa di statico, simile a una
pila ordinata di tutti i fotogrammi di una pellicola cinematografica. In realtà
è possibile complicare il modello considerando tutti i possibili stati fisici
dell’universo, e tutti i possibili modi di disporli in sequenza rispettando le
regole della fisica. Questo, in estrema sintesi, corrisponde al modello proposto
da Julian Barbour, ma anche a una generalizzazione all’interpretazione di
Everett della fisica quantistica, dove il collasso di una funzione d’onda è
interpretata come la selezione di un solo universo tra tutti i possibili
universi differenti che rappresentano le possibili continuazioni dell’universo
esistente nell’istante precedente. Considerando il modello proposto dall’Open
Individualism, possiamo supporre che anche il fenomeno della soggettività possa
suddividersi in ogni istante continuando ad essere presente in ogni possibile
alternativa, generando un numero corrispondente di tempi soggettivi.
47. Inoltre, è possibile che anche due stati del mondo che sono differenti
possano convergere in uno stesso stato successivo, se entrambi hanno tutte le
caratteristiche fisiche compatibili per rappresentare un possibile stato
precedente dello stesso stato. Questo accade in fenomeni come gli esperimenti di
cancellazione quantistica. Teoricamente, è anche possibile che esistano stati
che possono rappresentare sia uno stato precedente che uno successivo ad un
altro stato, in modo da rendere impossibile stabilire in modo assolutamente
univoco il loro possibile ordinamento nel tempo, malgrado il fatto che la
direzione del tempo risulti quasi certamente definita da considerazioni
probabilistiche. Nonostante questo, ciò che noi percepiamo soggettivamente è
sempre un singolo tempo soggettivo, anche se esso si suddivide continuamente per
seguire tutti i nostri possibili stati futuri, e si ricongiunge continuamente
provenendo da tutti i nostri possibili stati passati compatibili con il nostro
stato presente. Questo complicato intreccio rappresenta il nostro tempo
soggettivo personale in un mondo non determinista. Senza contare che osservando
gli altri esseri viventi, sappiamo che nelle nostre immediate vicinanze dello
spazio-tempo coesistono insieme a noi innumerevoli altre manifestazioni del
fenomeno della soggettività, di cui riusciamo a immaginare i corrispondenti
tempi soggettivi che ci appaiono scorrere contemporaneamente al nostro, e quindi
come se fossero inaccessibili alla nostra esperienza diretta.
48. Questa concezione trasforma il mondo lineare di un universo deterministico
in un multiverso labirintico dove i possibili percorsi di tutti i possibili
universi si intersecano continuamente tra loro, rendendo la nostra vita attuale
solo una variazione di tutte le possibili vite alternative che avremmo potuto
sperimentare se le cose fossero andate diversamente in qualche istante passato.
Questa concezione lascia aperta anche la possibilità dell’esistenza di un
effettivo libero arbitrio, come vedremo in maggior dettaglio in una delle note
conclusive.
49. Ad un primo giudizio,
può sembrare che l'Open Individualism neghi
necessariamente la possibilità del libero arbitrio, e che sia possibile solo in
un mondo determinista. Se accetto l’idea che in qualche modo mi troverò a vivere
in prima persona la vita di qualsiasi individuo con cui interagisco, allora sono
portato a pensare che in quel momento sarò costretto ad agire esattamente come
adesso vedo che egli si sta comportando. Se sto dialogando con un’altra persona,
possiamo entrambi decidere liberamente lo sviluppo futuro del nostro dialogo, ma
se immagino di ritrovarmi a vivere lo stesso dialogo dal punto di vista del mio
interlocutore, mi sembra che dovrò necessariamente replicare il dialogo usando
le stesse parole che adesso sento pronunciare da lui. Questo
ragionamento è sbagliato se teniamo presente che il tempo esterno non scorre e
che il nostro futuro comune è il risultato di tutte e scelte che il fenomeno
della soggettività esegue in differenti tempi soggettivi che non sono ordinabili
tra loro. Nella concezione eternalista, solo i nostri tempi soggettivi scorrono
attraverso la struttura dello spaziotempo. Così, quando mi troverò a
sperimentare lo stesso dialogo dal punto di vista dell’altro interlocutore, non
si tratterà di un tempo che “segue” o “precede” quello che sto sperimentando
adesso, ma sarà sempre la stessa precisa circostanza dello stesso spaziotempo
che mi troverò a influenzare con la stessa sensazione di novità e potenzialità
che sperimento adesso. È possibile intuire la situazione secondo l’Open
Individualism, se si pensa nuovamente all’esperimento della temporanea divisione
del cervello. In quel caso, è più facile immaginare che entrambe le menti
corrispondenti ai due emisferi possano esprimere un genuino libero arbitrio,
sebbene rappresentino anch’esse due esperienze separate del fenomeno della
soggettività. I due tempi soggettivi corrispondenti alle due menti separate sono
entrambi diramazioni dello stesso tempo soggettivo che scorreva prima della
divisione, e che sarà di nuovo riunificato dopo il loro successivo
ricongiungimento; a quel punto sapremo che entrambe le esperienze separate si
troveranno nel nostro passato soggettivo, ma sarà sempre impossibile dire se
l’esperienza della metà di sinistra sia stata sperimentata prima o dopo
l’esperienza della metà di destra. Gli eventi possono essere ordinati nello
spaziotempo statico dell’eternalismo, ma non si possono ordinare i tempi
soggettivi di due vite separate.
50. Per la stessa ragione, è impossibile dire se mi ritroverò a vivere la vita
di un’altra persona prima o dopo la mia vita attuale. Malgrado il nostro bisogno
di ordinare ogni evento nel tempo, la domanda “quale sarà la mia prossima vita?”
non ha una risposta. Una vita può essere considerata come una sequenza completa
di stati cerebrali adatta ad essere processata dalla funzione della
soggettività, ordinati dal primo all’ultimo secondo i criteri del tempo esterno
in un quadro eternalista. Se questa sequenza non ha punti di singolarità (punti
di divisione o di fusione), il fenomeno della soggettività e il tempo soggettivo
corrispondente possono fluire senza ostacoli fino all’ultimo stato cerebrale
valido della sequenza. Ma dopo la morte non esistono tempi soggettivi che
possano portare il fenomeno della soggettività al punto di inizio di un altro
tempo soggettivo. Questa è un’immagine che ci creiamo perché non sappiamo
immaginare come i diversi tempi soggettivi possano esistere senza metterli in
fila uno dietro l’altro. In ogni istante ci troviamo sempre in qualche punto di
qualche tempo soggettivo, e siamo portati a pensare che essi si debbano sempre
susseguire uno dopo l’altro in un ordine preciso.
51. Derek Parfit chiama “questioni vuote” (“empty questions”) le domande che non
possono avere risposta, anche se disponiamo di tutte le informazioni fisiche che
le riguardano. Questa definizione può essere applicata anche al problema della
sequenza delle vite sperimentate dal fenomeno della soggettività. In effetti,
Parfit non si pone questo problema, ma applica la definizione al problema del
decidere se l’identità personale può essere ritenuta la stessa dopo un certo
numero di cambiamenti. Secondo la concezione di Parfit, rientrano in questa
categoria tutti i problemi che riguardano degli aspetti puramente soggettivi che
non hanno una controparte fisica. Così anche il problema della sequenza delle
vite può indurci in errore facendoci immaginare il fenomeno della soggettività
come un fantasma che può andare avanti o indietro nel tempo tra una vita e
l’altra. Questa descrizione può essere adatta per far capire il concetto di Open
Individualism in modo banale, ma non è una descrizione corretta, perché il
fenomeno della soggettività non esiste al di fuori di una controparte fisica che
ne permette l’esistenza. Considerare bene il problema dell’esperimento della
divisione temporanea del cervello può aiutarci a raggiungere una concezione meno
ingenua. Il concetto di questione vuota può essere applicato anche in questo
caso: una volta che i due emisferi si siano ricongiunti, sono questioni vuote
tutte le domande del tipo: “Ero la mente originata dall’emisfero sinistro? O ero
quella originata dall’emisfero destro? O entrambe? Ma allora, ho vissuto prima
l’esperienza di essere l’emisfero sinistro o quella di essere l’emisfero
destro?”. Si può capire facilmente che in questo caso non ci sia risposta al
problema di come ordinare tra loro i due tempi soggettivi generati dalle due
metà del cervello separate, perché non esiste alcun indizio fisico da cui
dedurre l’informazione necessaria per rispondere: si tratta di una questione
vuota. Per questo, dobbiamo concludere che in generale sia impossibile
determinare la sequenza in cui la funzione della soggettività sperimenta due
percorsi distinti tra loro: ordinare gli eventi nel tempo è una necessità che
abbiamo nella nostra vita quotidiana, ma non esistono informazioni fisiche che
ci permettano di dare un ordine alla sperimentazione di due diversi tempi
soggettivi.
52. È importante osservare che in ogni caso la teoria dell’identità personale
dell’Open Individualism propone un modello che corrisponde con l’esperienza
pratica che abbiamo nella nostra vita quotidiana, e che oltre a questo,
può dare
una risposta a molti problemi che altrimenti sembrano difficili da risolvere o
privi di spiegazioni plausibili. È facile fraintendere l’Open Individualism e
classificarlo superficialmente come una teoria dualista o che implica una
connessione mistica tra tutti gli esseri viventi. In realtà, l’unica connessione
proposta consiste nel considerare il fenomeno della soggettività, l’esperienza
di percepire il mondo da un punto di vista soggettivo in prima persona, come
numericamente sempre la stessa, quella che ognuno di noi sperimenta in prima
persona, malgrado la nostra erronea convinzione che ogni altra persona abbia una
propria occorrenza specifica dello stesso fenomeno. Abbandonare il concetto di
identità significa che ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività non
può avere una differente identità numerica, e che dunque il soggetto che
sperimenta dal punto di vista in prima persona tutti questi flussi di stati
mentali deve essere considerato ogni volta come il fenomeno della soggettività
vero e proprio, nonostante il fatto che esso possa manifestarsi in molti
cervelli e corpi separati nello stesso momento del tempo esterno.
53. Parlare del fenomeno della soggettività in questi termini, può far pensare
che sia possibile assegnargli un ruolo speciale o addirittura divino, ma non è
così: basta considerare semplicemente la nostra esperienza diretta di essere uno
sperimentatore in prima persona del mondo, che è esattamente ciò che chiamo il
fenomeno della soggettività, e che poi generalizzo eliminando il fattore
contingente della nostra esperienza particolare. Così facendo, non aggiungo
alcun potere o conoscenza speciale, né alcuna concezione mistica.
54. Tutto questo ci fornisce un modello completo che anche senza un argomento
definitivo in suo favore, ha una coerenza interna e offre delle risposte
semplici a molti problemi sulla mente, come sarà descritto più avanti in questo
documento. Questo dovrebbe essere sufficiente per considerarlo meritevole di
attenzione per tutti gli studiosi di identità personale e dei problemi ad essa
collegati.