Infinito e finito
Una fondamentale riflessione che mi pare degna di essere espressa, è
quella che chiamerei la "congettura della saturazione dell'infinito". Partendo dalla
considerazione che il nostro universo ha dimensioni gigantesche ma limitate (si
stima che il suo diametro sia di 50 miliardi di anni luce), che le più piccole particelle
di materia hanno dimensioni di 10-15 metri e che le più piccole distanze
che si suppone possano avere ancora un senso fisico sono dell'ordine di 10-33
metri, la conclusione che si può ottenere è che alla fine, anche tutto l'universo
può essere "codificato" (in teoria) con un numero gigantesco ma finito che rappresenta
tutti i possibili stati che possono assumere tutte le possibili particelle che potrebbero
riempire completamente tutte le se dimensioni. Analogamente, la biblioteca di Babele,
poiché ha dei volumi di dimensioni finite che contengono simboli appartenenti a
un alfabeto finito, anche se contiene un numero inimmaginabile di volumi resta pur
sempre essa stessa una collezione finita di volumi. Se la volessimo ulteriormente
ingrandire, così come se volessimo ulteriormente ingrandire il nostro universo,
avremo due possibilità: aumentare il numero di simboli nell'alfabeto che utilizziamo
o aumentare la dimensione dei volumi. Per il nostro universo, potremo abbassare
la "risoluzione minima" sotto la soglia di 10-33 metri, o aumentare le
dimensioni globali oltre il limite attuale. Se le particelle fondamentali non potessero
essere ricondotte a entità uniche (come suggerisce ad esempio la teoria delle stringhe),
potremmo aumentare anche il numero di "entità elementari" ammissibili. Questi ampliamenti
potrebbero essere reiterati a piacere.
La "congettura della saturazione dell'infinito" è questa: quando noi
aumentiamo i simboli di un alfabeto e il numero di essi che possiamo combinare insieme,
abbiamo la possibilità di esprimere dei significati che prima non erano proprio
esprimibili. Se io limito il mio alfabeto a quattro simboli e la dimensione dei
libri a venti simboli, non posso ottenere la Divina Commedia. Tuttavia, la mia congettura
è che oltre a un certo limite, anche continuando ad aumentare all'infinito i simboli
dell'alfabeto e il numero delle loro occorrenze consecutive, non riesco più a raggiungere
alcun significato genuinamente nuovo che prima non ero capace di esprimere. Cioè,
a quel punto mi ritrovo con l'equivalente di concatenazioni dei contenuti precedenti
o a differenze talmente sottili tra i simboli utilizzabili, che non riesco più a
discernere alcun significato nuovo. Anche immaginando tanti universi generati da
big bang sempre più grandi, e con un numero sempre maggiore di tipi diversi di particelle
elementari, dopo aver esaurito tutta la gamma di possibili nuovi fenomeni che queste
possibili varianti rendono possibili, oltre un certo limite non appariranno più
fenomeni genuinamente nuovi che eventuali creature viventi possano in qualche modo
discernere. Questo mi porta a concludere che, se la congettura è vera, ne deriva
che il numero delle possibili vite diverse sia necessariamente finito, anche senza
ammettere limiti né nelle dimensioni dell'universo, né nella minima risoluzione
delle sue entità elementari, né nel numero dei diversi tipi di entità elementari
che possono essere ammesse.
Non è detto che la congettura così come è espressa sia vera: Comunque,
nel computo effettivo delle possibilità della vita, dobbiamo considerare in realtà
solo i tipi di universo con struttura abbastanza stabile da permettere la nascita
della vita, e tutti i limiti fisici che qualsiasi forma di vita necessariamente
deve avere, come una durata limitata, una risoluzione dei sensi più grossolana della
dimensione delle particelle fondamentali, una capacità limitata di immagazzinare
ed elaborare i dati in arrivo, un numero limitato di scelte disponibili al nostro
libero arbitrio. Io credo che queste condizioni da sole pongano un limite superiore
al numero di tutte le vite possibili, che non importa quanto alto possa risultare,
ma finché resta un numero finito sarà presto o tardi esaurito in una sequenza infinita
di reincarnazioni successive. Ma comunque, il fatto che il numero delle vite possibili
sia finito, permette di poter usare una dimostrazione di "forza bruta" per l'ipotesi
della unicità della stessa anima condivisa da tutte le vite; ma anche se quel numero
non si dimostrasse finito, in ogni caso ciò non basterebbe a confutare questa ipotesi.
Anche se non sono riuscito a rivendervi la pelle dell'orso nascosto ancora nella
foresta, con la mia congettura, tutto sommato ritengo di non avere bisogno di dimostrare
che il numero di vite totali è un numero finito. Per ottenere il risultato che veramente
voglio dimostrare, e cioè che siamo tutti incarnazioni della stessa "anima", mi
basta in realtà accettare due cose: il terzo postulato, ossia che le mie reincarnazioni
sono infinite, e il primo, ossia che il mondo esterno esiste realmente: per cui
anche la tua vita e la sua e quella di tutti gli altri sono vere vite che esistono
realmente. e allora, non importa quanto vasto sia il mio peregrinare ciecamente
tra infinite reincarnazioni, presto o tardi mi imbatterò anche in quelle. E anzi,
non solo una volta ma poi di nuovo infinite altre volte: la situazione è analoga
a questa: tu pensi un numero grande a piacere che rappresenta la tua vita. Io continuo
a pescare numeri a caso, nell'insieme infinito dei numeri interi. Hai voglia di
dire che i numeri sono infiniti: se io continuo abbastanza a lungo, finirò presto
o tardi per pescare anche il tuo numero, anche se non seguo alcun criterio. E poi,
continuando ancora all'infinito, ogni tanto seguiterò ad estrarlo. Il fatto di vederti
e sapere che sei vivo, mi garantisce che la tua vita è vera, e se io continuo a
vivere vite all'infinito, per forza presto o tardi mi imbatterò anche nella tua.
Una riproposizione di questa congettura potrebbe consistere nel fatto
che, dato che comunque la teoria quantistica ci pone dei limiti fisici sull'indagine
e sulla risoluzione dell'infinitamente piccolo sia di tipo spaziale che di tipo
temporale, il numero di stati complessivi dell'universo può tendere all'infinito
solo ingrandendo lo spazio complessivo che vogliamo esaminare, e il tempo complessivo
per cui lo esaminiamo. Ciò significa congetturare che non ci sia un limite superiore
alle massime dimensioni raggiungibili da un universo, né un tempo limite per il
suo sviluppo (a causa della finitezza della velocità della luce, un tempo massimo
limiterebbe anche uno spazio massimo). A meno di non ammettere che in alcuni universi
potrebbe essere possibile una fisica che permettesse una risoluzione infinita sia
per lo spazio che per il tempo, cosa che mi sembra personalmente improbabile, perché
mi pare che porterebbe a problemi piuttosto gravi. E, a dire il vero, credo anche
che in effetti debba esistere anche un limite superiore per le dimensioni di un
universo abitabile da essere viventi. Tuttavia, assumendo come possibile che possa
non esserci un limite superiore di spazio e di tempo disponibile per la creazione
e lo sviluppo di tutti gli universi possibili, la varietà di tutti i possibili casi
che possono combinarsi in tutte le possibili vite che possono crearsi al loro interno
non sale all'infinito allo stesso modo.
Come prevede un calcolo riportato nel libro "L'Infinito" di John D. Barrow,
se l'universo fosse realmente infinito e pressappoco uguale in tutte le sue parti,
esiste una distanza oltre la quale, statisticamente, potremmo trovare una replica
identica di noi stessi (un numero esprimibile in metri con un 1 seguito da 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000
zeri), ed una ancora più grande oltre la quale, statisticamente, potremmo trovare
una replica identica di tutta la Terra con tutti i suoi abitanti, come è adesso
qui da noi. Temo che queste distanze siano così enormi che per coprirle non sarebbe
sufficiente la velocità della luce, per un tempo che durasse dal big bang fino al
previsto esaurimento di tutte le stelle note. Infatti egli parla di bolle di universo
con una espansione inflazionaria più rapida della velocità della luce, e quindi
tra loro non comunicanti; insomma, dal mio punto di vista, anche se un limite preciso
non esiste, è ragionevole pensare che oltre certe dimensioni, lo stesso universo
non riuscirebbe più a produrre sostanziali novità e localmente presenterebbe delle
repliche; e crescendo ulteriormente, le "zone replicate" diventerebbero così vaste
da impedire una qualsiasi interazione tra loro; ed allora svanisce il senso della
distinzione, e Occam si avvicina minaccioso con il suo luccicante rasoio sogghignando
sinistramente e sussurrando con un sibilo: "Entia non sunt multiplicanda praeter
necessitatem...".
Frammenti video:
Infinito
e finito (file wmv di 11'14" ~30MB)